L’ACQUISIZIONE DI STUDI PROFESSIONALI NEL SETTORE ODONTOIATRICO

Rimbalzo tecnico fallito, esattamente come in Borsa o nel mercato immobiliare. L’euforia per le valutazioni degli studi che avevamo sentito, e forse anche a nostra volta pagato, nella seconda metà del secolo scorso ci ha addormentato davanti a qualsiasi campanello d’allarme. Oggi la centralità di un paziente, che ha cambiato di ruolo sotto la spinta di una trasformazione socio-economica, provoca stress per un’altalenanza fastidiosa nella richiesta di prestazioni che, per quanto mantenga costante il fatturato dello studio rende l’idea di questo cambio di ruolo che sta per raggiungere il nostro studio odontoiatrico, ed anche se forse non avviene così velocemente come in altri comparti, arriverà. Possiamo discutere sul quando, ma una sola cosa è sicura: arriverà, ed arriverà anche contro la nostra volontà.
Tutto ciò è pesante se lo vediamo unitamente all’incremento dei costi ed al peso asfissiante della burocrazia nello studio odontoiatrico, per non parlare della tanto vituperata vicenda sulla pubblicità o peggio ancora dell’imprenditorializzazione dell’attività professionale. Questo peso diventa insopportabile per la generazione odontoiatrica dei baby-boomer, che aveva conosciuto momenti migliori e che oggi è stanca e vorrebbe poter “mollare”, anche per una generalizzata mancanza di progettualità soprattutto se in assenza di eredi.
Riprendo ora un dato da altri già pubblicato, perché la generazione dei baby-boomer in odontoiatria mi ha impressionato: oltre il 60% dei dentisti attualmente in attività ha più di 55 anni, mentre ben oltre il 40% ha già più di 60 anni.
Vi chiederete: ma perché mai un dato di questo tipo dovrebbe impressionare? Semplice! Perché, dopo quanto sopra esposto, la mole degli studi in vendita o in procinto di vendere gonfia la curva dell’offerta in un momento in cui latita la domanda da parte dei giovani odontoiatri. E siccome l’incontro di queste due curve dell’offerta e della domanda determina il punto prezzo, ecco che il valore di uno studio odontoiatrico scende, anche se non crolla, quando l’offerta eccede la domanda.
Sin qui abbiamo solo generalizzato sulle regole che insegnano ai primi anni alla facoltà di Economia e Commercio perché, giusto per scendere nel primo fondamentale dettaglio, dichiariamo qui e subito che nessuno studio professionale è uguale ad un altro e che il Suo valore dipende in buona parte dalle sue caratteristiche. Questa affermazione, che è un macigno, la ingrandiamo al microscopio a scansione per arrivare a definire che il valore di uno studio odontoiatrico libero professionale è la coazione a ripetere nel tempo redditività e cash flow, dove la garanzia è data solo dalla continuità operativa.
Ed ora potremmo anche sbizzarrirci con i metodi per valutare uno studio odontoiatrico, dove, primo fra tutti, cito il metodo fiscale e dove ritorniamo al Luglio 2006 ed alla Bersani che riconduce, per la prima volta in assoluto per i liberi professionisti, a tassazione i corrispettivi perseguiti a seguito di cessione della clientela, visto che sino ad allora si cedeva uno studio spesso forgiando la fattura con la vendita della sola attrezzatura, esente iva e non imponibile irpef. Per semplicità possiamo ricondurre le altre metodologie al metodo patrimoniale, piuttosto che al metodo reddituale, se non addirittura al metodo misto tra i due citati: reddituale e patrimoniale. Il tutto, ovviamente, calcolato sulla media degli ultimi tre esercizi. Ma non era questo lo scopo di questo articolo, anche perché credo che i commercialisti degli studi odontoiatrici siano ben in grado di affrontare queste valutazioni per i propri clienti.
Vorrei invece soffermarmi sul metodo “spannometric basic banch” che Vi prego di non cercare sul vocabolario d’inglese, perché trattasi di una mia invenzione dovuta ad un incrocio tra una forma dialettale italiana e l’inglese per indicare come unità di misura “la spanna”. Il metodo, quindi e molto semplicemente, deriva da usi e consuetudini tra professionisti. Cosa succedeva quindi di tanto terribile prima della BERSANI? Che si valutava uno studio in base al fatturato di un anno tout court, senza nemmeno allambiccarsi troppo il cervello per fare la media degli ultimi tre esercizi.
Ma allora, perché oggi non potrebbe esser più valido? Intanto per i costi, che sono diventati enormi rispetto agli anni d’oro dell’odontoiatria, ma soprattutto perché un professionista che vuole ridurre il proprio impegno professionale senza ridurre il valore dello studio deve muoversi bene e per tempo.
Intanto bisognerebbe saper guadagnare qualcosina meno oggi, quando si è ancora poco più che cinquantenni, per associare un giovane odontoiatra dopo un reciproco congruo periodo di affiatamento fatto a semplice prestazione. Questo per non arrivare troppo tardi, aspettando a pensarci di associare qualcuno all’alba dei 65 anni, quando si è disinvestito nelle attrezzature e nelle attività dello studio, quando è magari già scemato il numero dei pazienti, quando il fatturato è sceso e non permette più “di guadagnare solo qualcosina meno” e quindi quando non si avrà più tempo di scegliere per scegliersi.
Forse molti giovani odontoiatri preferiscono la “marchetta odontoiatrica” (e qui chiedo scusa a tutti per questa mia espressione) che permette fatturati (non guadagni) interessanti non appena laureati. Forse non tutti i giovani odontoiatri hanno l’occhio della tigre che avevano i primi neolaureati in odontoiatria 31 anni orsono, quando non vedevano l’ora di laurearsi, farsi un minimo di esperienza per aprire un’attività professionale in proprio. Tutto comprensibile e condivisibile. Ma forse non tutti i giovani odontoiatri se la sentono di rilevare degli studi in totale assenza di progettualità, con una massa critica di fatturato aldisotto del break even point, con delle sale d’attesa inguardabili e con delle attrezzature che di colpo sono diventate antiche, senza nemmeno esser prima invecchiate.
Ci sono quasi 38.000 studi odontoiatrici in Italia, che mi sembra abbiano un numero ed una capillarità superiore al numero delle parrocchie in Italia. Parrocchie che sono sicuramente in sofferenza con il numero dei fedeli, molto di più di quanto non lo siano gli studi odontoiatrici coi pazienti. Possibile che questi 38.000 studi debbano temere 40 marchi che dispongono di 532 cliniche? Credo che, se anche il numero delle cliniche raddoppiasse, buona parte di questi 38.000 studi sarebbero vendibili, solo se finalmente il settore (e parlo di tutti in generale) decidesse di affrontare con occhio diverso la turbolenza che ha attraversato il paese Italia. Basterebbe analizzare la crescente domanda di prestazioni e di servizi che potrebbe essere soddisfatta solo lavorando in sintonia con il settore pubblico che deve da noi essere costretto a svolgere la sua funzione di volano, anche se per una minima parte, con la classica teoria keynesiana. E laddove anche quella minima parte non dovesse supportare una crescita sostenibile, incominciare a colloquiare sul ruolo di altri sistemi che non aggravino i conti pubblici, ma che possono dare una valida risposta alla crescente domanda da parte della collettività.

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